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Il saggio di Michael Leonard Keepe documenta la storia e il contributo dell'Hollywood Saxophone Jazz Quartet - uno dei complessi più originali del tempo - al West Coast Jazz nel sud della California, negli anni Cinquanta e Sessanta. I suoi membri, tra i più apprezzati musicisti di Hollywood, collaborarono con molti dei migliori compositori e artisti di Los Angeles. La loro produzione discografica spicca per un rigore e una qualità elevatissimi. Antonio Lanza biasima il razzismo alla rovescia che ha inquinato la storiografia jazzistica, specie d'impronta europea, e rivaluta fortemente il jazz bianco e in particolare il West Coast Jazz, indicandolo come la scuola più nobile tra tutte le altre posteriori al Bebop e al Cool in virtù della profonda cultura accademica e dell'impareggiabile maestria strumentale dei suoi esponenti, nonché per l'importanza dei raffinatissimi e sperimentali arrangiamenti. La storia del jazz, sinora gravemente falsata, andrebbe dunque totalmente riscritta. Ravvisa inoltre nel jazz modale e nei suoi principali esponenti di fine anni Cinquanta-primi Sessanta e nella loro maniera monocorde e monocroma, piattamente imitata dai giovani musicisti, specie italiani, la causa della decadenza in cui da decenni si dibatte il jazz, i cui ultimi veri innovatori sono stati Eric Dolphy e Art Pepper. Attraverso l'etnografia di una jam session jazz "non competitiva", tenuta settimanalmente a Brooklyn, Anselmo R. Paolone ne mette in luce i principali aspetti pedagogici. I musicisti frequentano questa jam per apprendere. La loro formazione avviene (secondo la vera tradizione del jazz) attraverso l'esperienza dell'improvvisazione in gruppo, che poi diventa oggetto di riflessione e viene resa "comunicabile" attraverso un "gergo di strada" in cui le conoscenze tecniche necessarie all'improvvisazione (riportate qui per esteso, assieme alle trascrizioni dei relativi esempi suonati) vengono "semplificate", diventando in tal modo comprensibili anche agli autodidatti.